„Sincope è per me il resoconto di un tempo debole, uno spostamento di accento. Così sento le mie ultime scritture, sono l’espressione di un’agitazione. Il loro accento si sposta sulla mia condizione di una quotidianità che vuole e che anche desidera mancare di stabilità. Personalmente la reputo una qualità. Sono, soprattutto nel modo di scrivere, una deviazione, seguono, anzi meglio, vogliono seguire una direzione diversa, non più quella „ordinaria“ della poeta che accoglie ogni gesto, ogni silenzio del maso, o della malattia, in qualche modo ben basato ed equilibrato, e che si muove in una capacità di resistenza. Qui parlo del corpo e della sua solitudine. E nelle mie solitudini c’è sempre un’alterazione un po‘ più elevata, il malessere è una mia realtà che non riesco a evitare“. (Roberta Dapunt)
Dalle precedenti raccolte di Roberta Dapunt abbiamo imparato a conoscere la vita del maso, i gesti ancestrali della sua gente e degli animali, e poi i silenzi della malattia, lo svanire della mente nell’Alzheimer eppure la capacità di resistenza della vita nella relazione fra persone legate fra loro dalla forza dei luoghi e degli affetti. Una poesia in direzione del sacro, cercato nelle piccole cose, ma anche inquieta, in costante tensione fra armonia e dissonanze.
Nella nuova raccolta la spinta verso l’inquietudine è decisamente più forte. Il tono compassato lascia il posto a un’agitazione interiore, i segni senza tempo della natura non danno più stabilità. Qui parla soprattutto il corpo: le alterazioni degli equilibri, le emozioni non controllate hanno sempre una corrispondenza fisica. Come nella poesia intitolata Epistassi il sangue „esce e finisce in terra“, „Così anche il resto di me che cade, si rivolge al suolo questo corpo, / facile orizzonte davanti a me“.
Non solo premonizione, la morte è un tema che attraversa il libro in forma di pulsione e si condensa nella sezione Estinti: apparentemente opposta ma in realtà complementare a quella dedicata agli Istinti.
Conversazione con Gabriele Di Luca